Bari, quell'antica masseria dove un tempo risuonava la soave voce del "Caffariello"
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venerdì 19 ottobre 2018
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di Ilaria Palumbo - foto Antonio Caradonna
La struttura prende il nome da colui che l’ha fatta costruire: Gaetano Majorano, meglio conosciuto con il nome di “Caffariello”, grande voce della musica lirica di ogni tempo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nato a Bitonto il 1710, l’artista fu presto preso sotto la protezione del musicista Caffaro, che intuendone le grandi doti lo fece castrare da piccolo, così da permettergli di mantenere una voce acuta e giovanile. Nel giro di poco tempo Gaetano si impose sulla scena nazionale e internazionale, diventando uno dei più importanti cantanti della sua epoca, secondo solo all’andriese Farinelli. Per intenderci, il suo nome è citato nella celebre opera “Il barbiere di Siviglia” come esempio di maestria e portento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Di origini contadine, una volta arricchitosi (acquisì anche il titolo di duca) non badò a spese, divenendo proprietario di numerosi immobili, tra cui proprio la masseria barese, che fece erigere intorno alla metà del 700. Un edificio che siamo andati a visitare (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungerla partiamo dalla Motorizzazione imboccando una via di servizio parallela alla strada provinciale 54 che collega la Zona Industriale all’Aeroporto, e svoltiamo dopo 500 metri sulla sinistra in via dei Fiordalisi. Dopo aver proseguito per altri 150 metri bisogna fermarsi e aguzzare la vista sulla propria destra, perché in fondo a una lunga e stretta stradina sterrata, circondata da alberi e verde incolto, si trova la masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A dividerci dalla nostra meta ci sono trecento metri di cammino: un percorso sul quale è bene soffermarci, visto che proprio da qui un tempo passava la gloriosa via Traiana, strada aperta dai Romani tra il 108 e il 109 d.C. per collegare Benevento a Brindisi. Ancora oggi è possibile riconoscerne il tracciato, seppur privato degli antichi basoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo ora arrivati di fronte alla costruzione, introdotta da un “recinto” a forma di esedra in pietra tufacea, accanto a cui sorgono due alti pini marittimi. Attraversiamo il varco delimitato da due pilastri e ci ritroviamo in un ampio semicerchio invaso da erba inselvatichita cresciuta a dismisura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tutt’intorno a noi, a occupare l’esedra in pietra, compaiono una ventina di quelle che dovevano essere le mangiatoie destinate ai cavalli, dalla forma ad arco ribassato. Di fronte invece si apre il portale d’ingresso a tutto sesto, ormai del tutto privo del portone. Da qui si accede al piccolo atrio, in cui la vegetazione spontanea ha rapito ogni centimetro.
Purtroppo infatti la masseria giace abbandonata da tempo. Nel 1782, alla morte di Caffariello, il possedimento venne diviso fra i nipoti e dopo qualche decennio venduto al facoltoso Pietro Capitaneo, membro della famiglia che arrivò in Puglia al seguito di Isabella d’Aragona. Gli attuali proprietari sono proprio i discendenti di Pietro e da ciò che sappiamo, pur avendo tentato negli ultimi anni di ristrutturare la magione, si sono per ora trovati nell'impossibilità di portare a termine il progetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel frattempo siamo giunti davanti al prospetto del fabbricato caratterizzato da una rigida compostezza delle forme: è a due piani, dal colore chiaro, ma ormai rovinato da incuria e intemperie. A rompere però la semplicità dell’architettura è una torretta merlata che spunta sul terrazzo: si tratta della canna fumaria di un camino interno, caratterizzata da un pinnacolo superiore capeggiato da una croce in ferro che, a discapito della sua funzione, ricorda un castello fiabesco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Muoversi nell’atrio è davvero difficile, ma riusciamo comunque ad affacciarci in alcuni vani caratterizzati da volte a botte, che in passato dovevano essere le stalle, oggi totalmente spogli e “mangiati” dal muschio verde. Attraverso una scalinata laterale, invasa da un ingombrante albero di fico, decidiamo di accedere al piano superiore, quello residenziale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’interno troviamo ad attenderci sei locali comunicanti fra loro, coperti da volte a schifo, le cui mura sono tinteggiate di rosa o azzurro ma prive di qualsiasi elemento decorativo. Una sola stanza fra le altre risulta ancora riconoscibile: trattasi della cucina, al cui centro compare un grande camino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ovunque troviamo invece scritte disegnate dai vandali di passaggio. “Noi siamo del Cep. Non abbiamo paura”, leggiamo su una delle pareti. D’altronde di cosa si può aver timore? Forse solo del silenzio che avvolge questa secolare masseria, lì dove un tempo risuonava soave la voce del “Caffariello”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Emanuele Zambetta - Bari purtroppo ha eccessivamente trascurato i monumenti rurali. Che gran peccato... In troppi, ormai semidistrutti. Piange il cuore...